Una delle forme più antiche di trasmissione di conoscenza sono le fiabe, una forma artistica presente pressoché in ogni paese e in ogni cultura del globo. Le popolazioni prive di scrittura hanno tramandato fino a poco tempo fa il corpus delle loro conoscenze tecniche, culturali e religiose tramite la narrazione orale di miti, leggende e fiabe. Anche nella nostra cultura, ben oltre l’invenzione della scrittura e pure dopo la diffusione della stampa, ampi strati di popolazione analfabeta ha continuato a perpetrare, di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, la propria visione del mondo attraverso le fiabe. Per secoli trascurate o sottovalutate in quanto forma di cultura popolare ed elementare, dal XVIII secolo hanno cominciato a destare l’interesse di antropologhi, etnologhi e filologhi, che hanno cominciato a trascriverle e a studiarle: uno degli esempi più felici è la raccolta dei Fratelli Grimm. In seguito l’interesse per la narrazione in tutte le sue forme esplose in molti ambiti, dando luogo alle analisi dei linguisti, alle classificazioni dei semiologi (primo fra tutti Propp con la sua Morfologia della fiaba) e alle interpretazioni degli psicologi (Freud e Jung fra i primi, fino ai molti moderni ).
Differenza favola – fiaba
Nonostante la tendenza generalizzata a considerare la fiaba e la favola come la stessa cosa ed i due termini sinonimi, si tratta invece di generi ben distinti: la favola è un componimento estremamente corto (della durata di poche righe) con protagonisti in genere animali dal comportamento antropomorfizzato o esseri inanimati, la trama è condensata in avvenimenti semplici e veloci, ed infine l’intento allegorico e morale è molto esplicito, a volte indicato dall’autore stesso come postilla al testo; ma ancor più importante di tutto ciò, la discriminante principale fra favola e fiaba è la presenza o meno dell’elemento fantastico e magico, caratteristica peculiare della fiaba e completamente assente nella favola, basata invece su canoni realistici
Definizione di fiaba
Tra tutte le definizioni possibili, scegliamo quella di Calvino; nella sua introduzione all’immensa meravigliosa raccolta di Fiabe Italiane scrive che le fiabe:
Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale, la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini di una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste.
(Italo Calvino, Fiabe Italiane, Introduzione)